Dettaglio
Intervista a Edo Ronchi
La transizione circolare in Italia tra spinte globali e opportunità locali
Il 2025 si conferma un anno cruciale per la transizione ecologica e l’economia circolare. Le tensioni geopolitiche e l’instabilità dei mercati stanno ridisegnando le strategie industriali e i trend di consumo, ma l’Italia prosegue il suo percorso verso modelli più circolari, pur essendoci luci e ombre, nonché molti margini di miglioramento, come spiega Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.
Quali tendenze dell’economia circolare emergono dal confronto con imprese e attori economici italiani?
Le turbolenze internazionali legate ai dazi e all’aumento della competizione globale stanno riportando l’attenzione sulle risorse nazionali e sulle economie più radicate nei territori. Questo, in un certo senso, favorisce l’interesse verso la circolarità, soprattutto per quanto riguarda le materie prime critiche, su cui pesano rilevanti problemi geopolitici. Anche il costo elevato dell’energia e la volatilità dei mercati delle materie prime sono elementi che spingono le imprese a considerare approcci più circolari. In generale possiamo essere tendenzialmente ottimisti: l’Italia, in questo contesto, sta tenendo la rotta, anche se si potrebbe fare molto di più.
E per quanto riguarda la circolarità nei consumi?
In questo caso servirebbe maggiore consapevolezza per alimentare un mercato di beni e servizi più circolare. Invece non ci sono segnali: mancano informazione, incentivi, proiezione economica. Penso anche al prodotto come servizio, lo sharing per esempio: nella mobilità c’è qualche segno, ma molto debole. Dopo la pandemia sembrava che ci fosse maggiore attenzione, invece siamo tornati alle vecchie abitudini, ognuno nel proprio ufficio, con pochi servizi e spazi condivisi. Al contrario, nella gestione dei rifiuti e nei processi produttivi più tradizionali la transizione circolare è in atto e in alcuni settori sta accelerando.
Il PNRR ha contribuito a colmare il gap della mancanza di impianti?
Il PNRR è stato un po’ un’occasione perduta. Si sarebbe potuto osare di più, puntando su progetti più innovativi. Per esempio, per finanziare la costruzione di impianti per produrre biogas e biometano è sufficiente creare un buon sistema di incentivi e i progetti partono da soli. Invece siamo ancora in ritardo sul riciclo di rifiuti da apparecchiature elettroniche, come le schede, e su processi complessi, come la rivulcanizzazione della gomma per il recupero degli pneumatici. Anche sul riciclo chimico si è fatto qualcosa, ma in modo molto timido.
L’Europa sta riformulando i finanziamenti, anche attraverso il nuovo Fondo europeo per la competitività. Che cosa ne pensa?
Questo rientra nel piano finanziario pluriennale per il periodo 2028–2034, il cui budget si aggira attorno a 1.200 miliardi di euro, pari a circa l’1% del reddito nazionale lordo. Se le risorse restano queste, è difficile pensare a un vero cambio di passo. Certo, si può ridistribuire qualcosa tra i fondi già esistenti, ma, senza un aumento delle risorse messe a disposizione dai Paesi, o individuate con debito comune europeo, sarà solo un rimescolamento. Servirebbe ben altro.
Negli ultimi anni la finanza privata ha mostrato crescente attenzione verso il mondo dell’energia. Ma c’è spazio anche per sostenere l’economia circolare, magari con strumenti innovativi come i Circularity-Linked Bond?
Dipende da come vengono definiti e misurati gli investimenti nell’uso efficiente dei materiali e nell’innovazione dei processi. La digitalizzazione, comunque, sta avendo effetti positivi significativi sulla circolarità. Tuttavia, alcuni settori, come il riutilizzo o la riparazione – che sono centrali per l’economia circolare – vedono ancora pochi investimenti. È difficile capire se ci sia una carenza di investimenti privati o se manchino iniziative sufficientemente strutturate da attrarre capitali. Forse entrambe le cose.
La simbiosi industriale resta ancora poco strutturata in Italia. Servirebbe un sistema coordinato, magari un database univoco?
Prima di tutto serve far capire alle imprese che cos’è davvero la simbiosi industriale. Due anni fa abbiamo lavorato con alcune PMI e ci siamo accorti che il termine era poco conosciuto. Se invece si parla di riutilizzo dei residui di produzione oppure di utilizzo di scarti di un’azienda come risorsa per un’altra, allora scopri che queste pratiche esistono già. Quindi bisogna far emergere questo aspetto e forse contabilizzarlo meglio. In secondo luogo, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, del passaporto digitale e del cloud, cioè il controllo digitalizzato dei processi produttivi e dei flussi di materiali, potrebbe mettere a disposizione informazioni sia per utilizzare i residui di produzione sia per valorizzarli, aiutando la simbiosi industriale. Terzo tema, c’è un problema di omogeneità normativa: oggi in Italia uno stesso residuo può essere considerato rifiuto in una regione e sottoprodotto in un’altra. Questo crea incertezza e frena la simbiosi. Serve quindi una revisione chiara e uniforme, che valorizzi i residui riutilizzabili come tali, evitando pasticci interpretativi che rischiano di peggiorare la situazione.
Il traffico illegale di rifiuti è ancora diffuso, da quelli tossici ai RAEE alle auto rottamate. Quanto è importante rafforzare la lotta per contrastare questo tipo di crimine?
Il traffico illegale di rifiuti è una minaccia reale, specialmente nelle zone dove è forte la presenza della criminalità organizzata, quindi non bisogna mai allentare i controlli e l’attività di contrasto. Sicuramente un ciclo virtuoso sia dal punto di vista economico che tecnologico riduce il rischio di gestione illecita. Ma per alcuni flussi, come i RAEE, il sistema di raccolta è ancora debole: i produttori non sono sufficientemente responsabilizzati e il sistema dei consorzi è troppo frammentato. Per quanto riguarda le auto, c’è sempre stata un po’ di cannibalizzazione, però se il rifiuto ha mercato non finisce nelle discariche abusive. Il problema semmai è il car fluff, un rifiuto contaminato, a volte anche pericoloso, per cui non ci sono ancora impianti adeguati.
Sul fronte della plastica, che direzione sta prendendo il mercato?
Il vero nodo oggi è la concorrenza dei polimeri vergini, prodotti a bassissimo costo da alcuni grandi player internazionali. Questo sta mettendo in seria difficoltà il mercato delle materie prime seconde.
Eppure, la raccolta della plastica in Italia funziona bene e anche la capacità di riciclo meccanico è elevata. Il problema è il mercato di sbocco: manca una domanda solida e il reimpiego soprattutto ne- gli usi alimentari, che è importante, non è possibile o comunque è più difficile. Per aumentare il riciclo e il mercato del riciclo bisogna affiancare almeno una quota di riciclo chimico, anche se quest’ultimo stenta a decollare. Gli investimenti sono frenati dall’incertezza: chi costruisce un impianto deve sapere di poter vendere i polimeri ottenuti, altrimenti l’investimento non è sostenibile. Le nuove normative europee – come l’obbligo di una quota di plastica riciclata negli imballaggi – possono dare una spinta positiva. Ma attenzione: il mercato delle materie prime seconde non può reggersi da solo, va sostenuto per contrastare la concorrenza aggressiva delle plastiche vergini.
Edo Ronchi
Tra i fondatori della Federazione dei Verdi, è stato parlamentare fino al 2008 e ministro dell’Ambiente dal 1996 al 2000. Oggi è presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, autorevole centro studi sulla green economy che opera dal 2009.