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EPR e raccolta differenziata: la sfida del tessile per l’UE

05 dicembre 2025
Magazine

Se la Francia è stata pioniera, anche l’Italia si è mossa in anticipo: l’obiettivo è far partire il sistema della Responsabilità Estesa del Produttore dal 1° gennaio 2026.

L’Unione Europea genera ogni anno 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili: da soli l’abbigliamento e le calzature rappresentano 5,2 milioni di tonnellate, pari a 12 kg per persona all’anno, secondo i dati diffusi dal Consiglio dell’UE. Solo una parte minima (22%) di questi scarti, però, viene intercettata per il riuso o il riciclo.
Per rendere più circolare questo settore e ridurne il forte impatto ambientale, la Commissione europea ha lanciato nel 2022 la EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles, che indica il 2030 come anno in cui rendere tutti i prodotti tessili immessi sul mercato europeo durevoli e riciclabili.
Tra i pilastri della strategia c’è l’introduzione della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che assegna ai produttori l’onere della gestione del fine vita dei prodotti, e si va ad aggiungere all’obbligo di raccolta differenziata entrato in vigore il 1° gennaio 2025 (l’Italia lo ha anticipato al 2024), ai sensi dell’EU Waste Framework Directive (WFD).
Nel 2026 o nel 2027, a seconda dell’iter burocratico, ogni Stato membro dell’UE dovrà adottare il proprio schema EPR, in base alla propria legislazione, al mercato e alle infrastrutture locali: un’eterogeneità che da un lato valorizza le peculiarità nazionali, dall’altro rischia di frammentare il mercato e complicare il lavoro delle imprese.

Il modello francese

Tra i Paesi che hanno adottato con anticipo l’EPR per il tessile, si distingue la Francia: qui il sistema è operativo dal 2007 ed è gestito da Refashion, consorzio che coordina il fine vita di prodotti tessili per circa 5.000 aziende, imponendo agli operatori di registrarsi, dichiarare periodicamente le quantità immesse sul mercato e versare un contributo ambientale.
Nel 2021 il consorzio ha raccolto 244.500 prodotti usati, grazie ai quasi 45.000 punti di raccolta pubblici e privati, che poi sono stati selezionati da uno dei 66 centri di smistamento. In base ai dati divulgati dal Ministère de la Transition écologique, il 58% degli scarti è stato destinato al riutilizzo, il 33% al riciclo e il 9% al recupero energetico sotto forma di combustibile.
Il tasso di raccolta, tuttavia, si ferma ancora al 35% dell’immesso sul mercato, il resto finisce tra i rifiuti indifferenziati destinati all’incenerimento o alla discarica: una quota insufficiente, secondo lo stesso Ministero. Gli obiettivi per il futuro sono dunque ambiziosi: entro il 2028 si punta a raccogliere il 60% dei tessili immessi e a riciclare l’80% di quelli non riutilizzabili. Per raggiungerli, secondo Refashion è prioritario concentrare gli sforzi e le risorse sul riciclo industriale, anello debole del modello: mancano tecnologie avanzate, i costi sono alti e non esistono ancora dati chiari sull’impatto ambientale.

L’Italia si attrezza

In Italia il cammino verso l’introduzione dell’EPR per il tessile è più recente, ma negli ultimi tempi si sono fatti importanti passi avanti, con la pubblicazione dello schema di decreto che istituirà il regime di Responsabilità Estesa del Produttore per abbigliamento, calzature, accessori, pelletteria, tessili per la casa e materassi. L’obiettivo? Far partire il sistema entro il 1° gennaio 2026. “Noi abbiamo cominciato a prepararci in anticipo, perché è evidente il peso di questa partita per il nostro Paese: si tratta di frenare l’impatto ambientale negativo del settore e di rilanciare uno degli assi portanti della manifattura nazionale, sia in termini di PIL che di personale impiegato”, osserva Michele Priori, direttore generale di Cobat Tessile. Nato nel 2022, il consorzio italiano per la raccolta, il trattamento e l’avvio al recupero di prodotti tessili giunti a fine vita è parte attiva del Forum PRO, la piattaforma europea promossa da Refashion ed Euratex per armonizzare i diversi modelli EPR e ridurre gli oneri per le aziende, pur rispettando le specificità nazionali. “Possiamo così confrontarci con gli altri sistemi europei e portare avanti un modello che tenga conto delle esigenze della filiera italiana”, conclude Priori.