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Chiudere il cerchio

Intervista a Cillian Lohan di Giorgia Marino

Chiudere il cerchio: a che punto siamo in Europa?

04 dicembre 2025
Magazine

Il tasso di circolarità globale è sceso al 6,9%, ma l’Europa continua a crescere, se pur lentamente. Il presidente del Civil Society Organisations’ Group del CESE analizza le sfide della transizione circolare, dal ruolo delle nuove tecnologie all’impatto sociale, fino al Circular Economy Act europeo.

Da quando, nel 2018, il think tank olandese Circle Economy ha cominciato a misurare il tasso di circolarità dell’economia globale, la percentuale non ha fatto che diminuire costantemente: partita dal 9% di otto anni fa, è oggi scesa a un desolante 6,9%. I motivi sono svariati, dalle turbolenze geopolitiche alla cultura del consumo. Ma la ragione principale è una: i pur notevoli progressi dell’economia circolare non tengono il passo con l’aumento della produzione, e quindi dell’estrazione di materie prime, a livello globale.
Per fortuna l’Unione Europea viaggia su un trend differente, e, se pur lentamente, continua a migliorare il suo tasso di circolarità. 
Delle sfide presenti e future per chiudere il gap di circolarità globale ed europeo abbiamo discusso con Cillian Lohan, presidente del Civil Society Organisations’ Group del Comitato economico e sociale europeo (CESE), nonché fondatore e presidente inaugurale della European Circular Economy Stakeholder Platform, il network rivolto a tutti gli attori e le istituzioni che lavorano per la transizione circolare nell’UE.

Il Circularity Gap del 2025 segna un nuovo record negativo: il tasso di circolarità dell’economia globale è sceso al 6,9%, in calo costante rispetto al 9% registrato nel 2018. Anche l’Europa sta seguendo questo trend negativo?
No, non stiamo seguendo questa tendenza negativa. L’ultimo dato sul tasso di circolarità per l’Unione Europea, che risale a più di un anno fa, è intorno all’11,8%. Ci stiamo quindi muovendo nella giusta direzione, ma non abbastanza in fretta, visto che il target sarebbe fra il 18 e il 20%. 
Probabilmente i motivi di questa lentezza sono gli stessi del declino che si registra a livello globale. La mia sensazione, guardando all’Europa, è che ci sia stato un grande slancio iniziale con il primo e il secondo Piano d’azione per l’economia circolare, e poi con l’ampliamento all’Ecodesign e l’annuncio di una legge sull’economia circolare, oggi in cima alle priorità del Discorso sullo stato dell’Unione.
Ma poi, nella pratica, le aziende che stanno guidando il cambiamento hanno dovuto affrontare le sfide che tutti conosciamo, legate alla contrazione economica e alla situazione geopolitica, che hanno portato molta incertezza nel commercio e nella circolazione delle materie prime. Questo, ovviamente, ha rallentato lo slancio verso la transizione, visto che, in tempi incerti, siamo tutti meno propensi al cambiamento.

Ma non crede che l’industria, proprio per affrontare l’incertezza di questo periodo, dovrebbe essere portata ad assicurarsi le risorse necessarie attraverso l’economia circolare?
Sì, questo sarebbe certamente l’atteggiamento più logico e sensato, e trovo appunto strano che non lo stiamo vedendo accadere, almeno non a livello globale. Se si guarda però più da vicino all’interno dell’UE, è esattamente quello che sta succedendo. Le turbolenze geopolitiche ci stanno in realtà spingendo a concentrarci maggiormente sull’autonomia strategica e ad assicurarci il controllo delle catene di approvvigionamento e delle materie prime. Penso che questo sia uno dei motivi per cui in Europa il tasso di circolarità, anche se lentamente, continua a crescere. Abbiamo piani per l’economia circolare in atto da un decennio e una legislazione a supporto. Anche se il mondo è incerto, l’UE ha fornito una forte certezza sull’impegno per l’economia circolare e la risposta del settore imprenditoriale si vede: le aziende, già dieci anni fa, capivano che questa direzione aveva un senso dal punto di vista economico, e ora ancora di più ne comprendono il senso geopolitico.

Parlando di futuro, quale sarà il ruolo delle nuove tecnologie nello sviluppo dell’economia circolare nei prossimi anni?
Le opportunità sono enormi. La tecnologia blockchain, ad esempio, può aiutarci ad avere più informazioni lungo tutta la catena di fornitura di un prodotto, consentendo di gestire meglio i flussi di materiali. Inoltre una migliore condivisione dei dati ci consentirebbe di “catturare” la circolarità che al momento non riusciamo a misurare nei report ufficiali: tutte le pratiche circolari come lo sharing o il commercio di seconda mano, o le pratiche di condivisione diffuse a livello di comunità. 
C’è poi tutto il capitolo dell’Ecodesign: le nuove tecnologie consentono una migliore progettazione dei prodotti in ottica di riparazione, disassemblaggio e remanufacturing. Un’altra tecnologia che dieci anni fa sembrava molto promettente è la stampa 3D. Pensavo si sarebbe diffusa al punto che, per riparare un qualsiasi prodotto, sarebbe bastato consultarne i progetti attraverso un QR code e poi andare al negozio di stampa 3D di quartiere e farsi stampare il pezzo da sostituire.

Queste informazioni dovrebbero essere incluse nel passaporto digitale dei prodotti?
Il piano sarebbe di includerle, ma non è ancora così. E purtroppo sembra che molti centri di stampa 3D stiano chiudendo. Io però continuo a pensare che questa tecnologia potrebbe diventare molto importante sul piano del diritto alla riparazione. Di qualsiasi tecnologia si parli, è comunque fondamentale ricordarsi che va trattata come un mezzo, e non come il nostro obiettivo principale.

È un avvertimento da tenere bene a mente quando si parla di intelligenza artificiale. E, a proposito, come si inquadra il ruolo dell’AI nella transizione circolare?
Lo sviluppo dell’AI, come già dicono vari studi sul tema, porterà alla sostituzione di parecchie tipologie di lavori, anche di alto livello. Questa nuova disoccupazione, anche nel caso si implementi un reddito di cittadinanza, avrà delle conseguenze sociali. Banalmente: cosa faranno tutte le persone che non hanno più un lavoro? Avranno comunque bisogno di un’occupazione, di uno scopo. E qui entra in gioco l’economia circolare, che ha l’enorme opportunità di creare una società decentralizzata, in cui le comunità si facciano carico di gestire le proprie risorse. L’intelligenza artificiale potrebbe allora essere utilizzata per individuare le necessità di ogni comunità e indirizzare le persone che si ritrovano con un surplus di tempo a mettere a disposizione le proprie competenze. Inoltre, le tecnologie AI possono rivelarsi utili per lo sviluppo della sharing economy e per migliorare le pratiche di riuso e riparazione.
Insomma, è un discorso interessante da affrontare, per andare oltre i lati negativi dell’AI di cui oggi si parla tanto e cominciare a considerarne i possibili vantaggi a livello sociale e in termini di efficienza delle risorse all’interno delle singole comunità.

Parlando di sfide future, il fallimento totale dei negoziati di agosto per il Trattato globale sulla plastica dimostra ancora una volta l’influenza delle lobby dei combustibili fossili. Come se ne esce? E cosa sta facendo l’Unione Europea in questo ambito?
È deprimente, perché i petrostati non hanno bloccato solo il Trattato sulla plastica, ma stanno bloccando anche i progressi nei negoziati sul clima e nella COP sulla biodiversità. È una sfida enorme. Ma se da un lato è scoraggiante vedere il potere della lobby dei combustibili fossili, dall’altro mi rende molto orgoglioso far parte dell’Unione Europea e vivere in una parte del mondo che sta lottando contro questo stato di cose. È facile dimenticarcene, ma in Europa stiamo dimostrando una leadership in questo settore. La stessa Ursula von der Leyen, nel Discorso sullo stato dell’Unione, se ne è assunta la responsabilità, ha menzionato la circolarità e il nuovo Circular Economy Act che entrerà in vigore nel 2026.
Uno dei punti chiave delle politiche europee, che le differenzia dal resto del mondo, è oggi l’introduzione dell’elemento sociale dell’economia circolare, che è mancato in passato. Un elemento che è molto presente nella strategia per la bioeconomia. Su questo tema ho lavorato parecchio negli ultimi tempi, per far sì che la bioeconomia, oggi gestita da una DG diversa della Commissione, diventi una parte dell’economia circolare, portando il suo esplicito approccio sociale.
Includere l’aspetto sociale nella transizione è secondo me l’unico modo per battere il potere delle lobby fossili e dei populismi. L’agenda green ha fallito in molti casi proprio perché mancava un approccio sociale: le comunità considerano le politiche green e la sostenibilità ambientale come un costo e non come un vantaggio. Ma le nuove politiche in arrivo sulla bioeconomia adottano un approccio diverso, e anche l’economia circolare adesso deve cominciare a misurare il beneficio sociale e le reali opportunità per le aree rurali e remote e per le aree urbane svantaggiate, dove è possibile creare rigenerazione attraverso lavori di riparazione, di rifabbricazione e così via. Penso che il beneficio sociale debba diventare parte del messaggio per il futuro dell’economia circolare.

Cillian Lohan
È presidente del Civil Society Organisations’ Group del Comitato economico e sociale europeo (CESE), nonché fondatore e presidente inaugurale della European Circular Economy Stakeholder Platform, network rivolto ad attori e istituzioni che lavorano per la transizione circolare in UE.